Solfeggio, Lo strumento in noi
- 18 dic 2014
- Tempo di lettura: 4 min
Il solfeggio come metodo di consapevolezza
di Fabio Marziali, a cura della redazione Water Academy
Guardando uno spartito al musicista viene naturale riconoscerne gli elementi quali note, simboli e segni, allo stesso modo come un lettore che ha davanti una pagina di un libro ne riconosce le parole. Nel momento in cui il musicista cerca di cogliere un primo significato dalla lettura di quei segni, allo stesso modo il lettore si accinge e predispone alla lettura del testo. Questa premessa è essenziale per comprendere che entrambi i lettori compiono, appunto nell’essenza, la stessa azione, con la differenza che leggere per il musicista significa solfeggiare.
È curioso notare che l’etimologia della parola risalga a solfa, cioè ripetere più volte la stessa cosa, e ancora più curioso è che solfa è composto dalle note sol e fa, quindi dà l’idea che la lettura della musica è un esercizio che viene ripetuto creando infine noia. È infatti constatato dall’esperienza di chi pratica l’arte che i procedimenti e le esercitazioni sono ripetute il più possibile al fine di ottenere dimestichezza e fluidità nella pratica.
Sicuramente lo studio approfondito del solfeggio porta il musicista ad una comprensione più forte nella lettura e nella suddivisione ritmica, ma quello che è interessante da notare è che non è solo per questo che il solfeggio è alla base di un buon strumentista. Infatti, abbiamo a che fare con il modo di solfeggiare che influenza direttamente il suonatore: il suonatore suona esattamente come solfeggia il brano durante l’esecuzione con lo strumento. Il punto focale quindi è che uno spartito può essere suonato esattamente in quanti modi può essere solfeggiato. Darsi un tempo e scandirne la lettura pronunciando simultaneamente secondo le articolazioni scritte è il modo che più avvicina il bravo lettore della musica ad una pratica ideale nell’esecuzione con lo strumento.
L’artista acquisisce la padronanza pratica di ciò che è l’evincere dell’intenzione del compositore e dunque riconoscerà in sé stesso il processo di maturazione quando avvertirà il fluire tra ciò che ragiona e ciò che esegue. Questo avviene perché egli si esercita nel solfeggio in ogni istante che suona, ma soprattutto nei momenti fondamentali che sono lo studio della tecnica dello strumento, cioè quando applica uno stile ad esercizi tecnici che possono invece sembrare privi di senso musicale.
Successivamente l’ascoltatore, in sede di esibizione, sarà come in una predisposizione di attenzione verso l’esecutore, rimanendone estasiato dal momento che l’esecutore sviluppa in modo automatico un virtuosismo strumentale che (forse) neanche egli credeva possibile per sé ed in sé.
Il musicista scopre che ciò che egli intende come limiti non sono altro che barriere che cadono quando si verifica la maturazione del processo dell’espressione dal concettuale; realizza che ha ottenuto una conoscenza e non può più tornare indietro poiché è cambiato radicalmente il suo rapporto con lo strumento, in special modo per quello che riguarda la sua comunicazione per mezzo della musica che risulta chiara e tenderà ad essere sempre più precisa.
Nel contempo – il musicista – acquisirà la libertà di spaziare nel repertorio del proprio strumento con versatilità dimenticando completamente le difficoltà espressive precedenti e, fatto di fondamentale importanza, sarà un tutt’uno con lo strumento. Il fattore principale è quindi l’intenzione nell’essere o incarnare nel proprio corpo lo strumento; questa visione di sé genera un risultato migliore rispetto allo standard, che è direttamente proporzionale alla forza della visione. Ciò significa che, tanto più lo strumentista ha chiaro e fluido in sé il concetto del solfeggio esaminato, tanto più riuscirà a trarre dalla lettura una maggiore fedeltà relativa al significato insito nello spartito.
Questo metodo mi ha permesso di migliorare la mia personale percezione musicale verso la musica perché l’intenzione di essere come uno strumento favorisce una migliore armonizzazione dei propri liquidi biologici nell’organismo all’intenzione dell’autore del brano, durante l’esecuzione del solfeggio personalizzato; si genera così una sublime coerenza di frequenza emozionale nella nostra acqua biologica che risuona perfettamente al concetto musicale che si sta analizzando, divenendo noi stessi, con il nostro corpo, lo strumento esecutivo dell’autore analizzato.
Questo principio è avvalorato non solo dalla personale esperienza di studio e pratica, ma anche dall’esperienza di docenza musicale maturata in questi anni, che mi ha condotto a sperimentarne la replicabilità del metodo. Gli allievi intuiscono sin da subito l’esigenza di spostare la propria attenzione dal classico strumento musicale che suonano – clarinetto, tromba, pianoforte, etc – allo strumento interno di sé stessi, facendo immaginare loro di essere fisicamente lo strumento musicale. In questa esperienza ho notato con molto stupore che comprendono istantaneamente come incarnare un perfetto strumento accordato alle note lette. L’allievo capisce che il comune strumento musicale suonato nei concerti non è semplicemente un’estensione fisica del proprio corpo, bensì un’estensione fisica in collegamento diretto con lo strumento interno. Questa consapevolezza permette di esprimere – come ho introdotto sopra – una musicalità differente rispetto agli standard finora conosciuti e i bambini sin da subito si formano ad un metodo che li rende in toto partecipi alla sinfonia.
Alla luce di ciò, l’allievo giunge all’intenzione di un’esecuzione tecnica strumentale e musicale ideali di un brano. Si può parlare di giusta intenzione anche quando si intende solfeggiare un brano immedesimandosi nel periodo storico in cui è stato composto, per questo sarà necessaria la ricerca nella storia della musica e del compositore del periodo storico di riferimento divenendo, anche in questo caso, corpo unico con il contesto studiato.
Questo status renderà l’allievo sicuro delle proprie potenzialità, cadranno le ansie e le paure da prestazione e può consapevolizzare di essere il maestro di sé stesso, non avrà bisogno di riferimenti esterni, avrà volontà di perfezionarsi e sperimentare quante più possibilità espressive e tecniche può ricavare dal suo strumento. Raggiungere la perfezione del collegamento intenzione-espressività sarà per lui principale motivazione di studio, ricerca ed approfondimento.
Da qui nasce un metodo generale, ossia si suggerisce ad un musicista di solfeggiare in quanti più modi diversi riesce un dato brano, questo processo farà sviluppare in lui una naturale pluralità di possibilità che, seppur apparentemente strane e senza relazioni tra loro, portano il musicista a comprendere che anche il solfeggio, com’è stato inteso finora non è solo mera divisione matematica della musica bensì stile, linguaggio, comunicazione e consapevolezza di sé stessi.
Di Fabio Marziali, a cura della redazione di Water Academy
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